FELICISSIMA JURNATA

BECKETT E IL RIONE SANITÀ

Felicissima Jurnata cerca di cogliere l’essenza o, forse, l’assenza di vita reale che unisce sul filo della solitudine il basso napoletano e Beckett.

Sono tre anni ormai che come Putéca Celidònia viviamo attivamente il Rione Sanità di Napoli cercando di portare il teatro in mezzo ai vicoli bui ed abbandonati. Ci è successo, dopo aver gradualmente preso confidenza, di entrare in alcuni bassi (la tipica abitazione al piano terra con ingresso su strada) e di trovare una situazione surreale. Così abbiamo deciso di iniziare un viaggio!

Nello zaino abbiamo messo la macchina da presa, il quaderno degli appunti e il testo di Giorni Felici di Beckett. Abbiamo bussato alle porte, urlato alle finestre e preso appuntamenti mai rispettati. Ci abbiamo provato.  E quando abbiamo pensato di non farcela ci siamo fermati e abbiamo cercato risposte in Beckett. Non ne abbiamo trovate, ma di domande invece… quante domande ci sono nate dentro. Da bravi attori ci siamo travestiti da intervistatori e da pessimi attori ci siamo smascherati subito. Intervistatori? No! Non ci piaceva proprio… piuttosto, come indagatori ci siamo immersi nelle storie di queste donne e questi uomini che ci hanno sconvolti, rapiti e portati su di una strada imprevista.

Gli appuntamenti poi, non sappiamo come, sono avvenuti!

E tra un’intervista e un’altra abbiamo domandato loro chi fosse Beckett e neanche per sbaglio qualcuno di loro lo aveva mai sentito nominare. Eppure ci sembravano così vicini, così familiari…

Il testo è venuto da sé, lo hanno scritto loro: le storie di Assunta, Pasqualotto, Angela e di tutti gli altri sono così pregne da poterci scrivere romanzi e romanzi per ognuno di loro. Questo testo è anche la storia di una donna di centonove anni. C-E-N-T-O-N-O-V-E ANNI. Avete capito bene! Guinness world record! Lei, di una lucidità sconcertante, si accedeva e si spegnava come un jukebox. Di lei non siamo neanche riusciti a capire il nome. Lei, che ancora si trucca, che mette lo smalto e sente le voci. Sente la gente intorno che suona e che canta. Di queste storie si compone Felicissima Jurnata, che pone l’accento sulla paralisi emotiva e fisica che queste persone si impongono per mancanza di mezzi. Perché molti di loro non sono neanche mai usciti dalla loro città nel migliore dei casi e nel peggiore non sono mai usciti dal proprio quartiere e chissà da quanto tempo neanche più dalla propria casa. Non è prigionia questa? È una prigionia consapevole o inconsapevole?

Da questo progetto sta per nascere anche un radio-documentario in collaborazione con Rai Radio 3. E chissà che queste voci di donne e uomini non possano poi integrarsi nella performance scenica. Per adesso partiamo dal teatro. Nel luogo dove tutto è possibile, dove un basso napoletano può essere tutto e niente. Dove la forma valorizza il contenuto.

Una performance immaginiamo oggi, in cui l’azione concreta e reale si confronta con le parole, il fiume di parole, a volte vuote, di questa donna a cui non resta nient’altro che parole. Lo spazio scenico svolge un ruolo importante per la forma: un quadro surrealista in dialogo con l’estrema drammatizzazione del quotidiano, senza mai dimenticarci di sorridere… perché se c’è una cosa che queste donne e questi uomini ci hanno insegnato è: “davanti alla sventura, alla morte, alla malattia tu ridigli in faccia!”

SINOSSI

Un’atipica coppia napoletana vive in un basso. Ogni giorno il risveglio è sempre uguale, quasi non si distingue un giorno dall’altro. Lei è Lina. Lui è Lello. Lei, è clinicamente sana ma paralizzata su di una sedia, impossibilitata al movimento. Lui, visibilmente malato, può ancora muoversi e si occupa delle faccende di casa. Lei sta tessendo un vestito, lui ne tira le fila. I fili di questo vestito si ingarbugliano in una matassa che tiene lei imprigionata su di una sedia mentre lui ne compone una ragnatela legando questi fili alle estremità della casa. Il ricordo e la memoria sono gli unici motori che spingono il tempo a passare. Lei però è paradossalmente piena di vita. Riempie ogni vuoto con parole, parole e parole. Lui, al contrario, è assente, vuoto. Il tempo, faticosamente, passa. E un’altra felicissima giornata comincia.

Riferimenti e suggestioni sull’utilizzo dello spazio scenico attraversato da elementi divisori

Riferimenti e suggestioni sul concetto di performance legata all’idea di casa